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Hey! Mr. Tambourine man, play a song for me!

I’m not sleepy and there is no place I’m going to […] Though I know that evening’s empire has returned into sand Vanished from my hand Left me blindly here to stand but still not sleeping

Su cosa sia effettivamente l’impero della sera di cui parla Bob Dylan in uno dei suoi più famosi brani si potrebbe discutere per giornate intere senza trovare una risposta effettiva. Ma le sue parole possono essere un po’ quelle del mio pensare oggi: perché di fronte a un’emergenza di questo tipo tutti ci troviamo con le nostre certezze (i nostri piccoli imperi personali) che svaniscono via dalle nostre mani e ci lasciano a riflettere nell’oscurità dell’insonnia. Per tutti noi che siamo cresciuti con la certezza di un meccanismo, che funziona sempre, per cui non si rischia di morire di guerre, fame e malattie, il coronavirus ha tenuto a ricordarci che siamo fragili. Che il presidente degli Stati Uniti della Gran Bretagna, potenze “gigantiche”, sono pronti a rischiare la propria vita per via di un micro-organismo. Che non siamo poi tanto lontani dai nostri antenati che nel Medioevo venivano distrutti da pesti ed epidemie. Che intere società sono sempre sono sempre in bilico tra il crollo totale del proprio sistema sanitario e sociale e la normalità di prima. Dunque, ora che non posso andare da nessuna parte, che non posso vedere i miei genitori, che devo temere ogni giorno per i miei cari, posso chiedere anche io al signor Tamburino di suonare una canzone per me? Perché di fronte a tutto questo, forse, solo lo stupore dell’arte può aiutarci, come ha sempre fatto nella storia umana, a farci dimenticare della nostra scarsa resistenza di fronte a ciò che muove tutto: non il nostro Ego, né qualche potente, ma il caso.

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Timide riflessioni di un’insegnante

Mi sono chiesta spesso, in questi giorni di riflessione voluta e forzata, quale sia il ruolo di tutti noi che non svolgiamo professioni sanitarie in questa emergenza: per la prima volta nella vita ho quasi rimpianto di esser sempre stata, per necessità professionali e personali, una ricercatrice da poltrona. Quando l’impazienza, l’impotenza ti bruciano il cuore e le mani è difficile farci i conti, ma poi ho pensato ai miei ragazzi. Alla loro gratitudine quando il suono delle nostre voci rompe la monotonia dei loro giorni, ai messaggi che mando loro perché non si sentano soli, al fatto che spesso mi sforzo di dar loro risposte che vorrei ricevere io per prima, al calore reciproco che si spande nell’etere e mi sono sentita utile, nel mio piccolo. Siamo tutti utili, a non disperderci. A restare insieme. A volerci quel Bene che dice Cortázar: “Además te quiero, y hace tiempo y frío”. [ E POI TI VOGLIO BENE, NEL TEMPO E NEL FREDDO]

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Più che un tango, una riflessione a passo di valzer

Dev’essere stato all’inizio, sin dal primo momento in cui Marlon, alias Paul, impone alla sua futura coinquilina ed amante di bandire nomi e ricordi dallo spazio e dal tempo condiviso in un appartamento piuttosto spoglio, eppure ancora impregnato delle vite di chi l’aveva occupato prima che per chissà quale ragione fosse abbandonato e dato in locazione. Chi ha visto il film avrà capito di che cosa parlo. Per chi non lo conoscesse, il film cui alludo è “Ultimo tango a Parigi”, di Bertolucci. Credo sia stata proprio la precisa volontà di rimozione, di cancellazione, di contraffazione di Paul ad innescare in me una catena di pensieri orbitanti attorno a quel grande spauracchio che è la fine dell’esistenza terrena, la morte. Non sapevo ancora come sarebbe andato a finire il film ma avevo captato sin da subito l’impulso autodistruttivo dei protagonisti della travagliata storia d’amore messa in scena da Bertolucci. In realtà, però, riflettendoci meglio, potrebbe essere la sotterranea angoscia della reclusione forzata che ci costringe ormai a casa da un mese, ad essersi insinuata nel mio inconscio nella veste di un pensiero tanto malinconico quanto terribile. Allora, la riflessione che vorrei condividere con voi è più che altro un incoraggiamento ad abbandonare le inibizioni, quei freni che spesso ci limitano nelle relazioni sociali. Lo dico in primis a me stessa, che prima del sopraggiungere dell’emergenza, mi sono lasciata frenare dalla paura del giudizio, di un eventuale rifiuto, rinunciando così ad esternare i miei sentimenti incipienti ad una persona che conoscevo da poco e dalla quale, evidentemente, ero intimorita. E sì, perché a Paul, che non riesce a darsi pace per non aver compreso chi fosse in realtà sua moglie, suicidatasi da poco, e quali celate preoccupazioni l’avessero turbata in vita, non restano che profonda sfiducia e orrore per il prossimo. E allora riversa tutta la sua frustrazione e tutto il suo dolore sulla giovane ragazza che gli contrappone invece una disarmante purezza di spirito, un sentimento incondizionato sembrerebbe, assecondandolo spesso nelle sue nefandezze. Tuttavia il rapporto tra i due evolve, Paul a poco a poco cambia atteggiamento ed ecco, però, che alla fine arriva il colpo di scena: Paul finalmente si scrolla di dosso le ultime briciole di resistenza che ancora opponeva all’insistenza della ragazza a rivelare la sua vera identità, a darsi interamente a lei e le dichiara il suo amore. È troppo tardi e deve fare i conti con la crudeltà di un mutato universo emotivo e sentimentale della ragazza, che si mostra ormai disinteressata a accoglierlo con le sue fragilità, col suo passato, col lutto che si trascina dietro. Credo che la colpa, se così vogliamo chiamarla, o forse sarebbe meglio parlare di occasione persa, bruciata dal tempismo imperfetto dell’incontro/scontro tra due temperamenti propensi sì all’amore, ma appunto con uno scarto temporale che risulterà fatale, sia di entrambi. Allora il mio augurio per tutti noi, per l’umanità intera, è di tornare, dopo l’agognata fine della quarantena, a relazionarci col prossimo armati di una maggiore consapevolezza di noi stessi e di chi ci sta di fronte. Spero tanto che saremo in grado di sapere ascoltare meglio noi stessi, di rispettare di più il nostro mondo interiore e di valorizzare sempre chi ci troviamo davanti, senza più alcun timore di metterci a nudo perché potremmo di nuovo, da un momento all’altro, trovarci a dover fare a meno dell’altr* . Non so se sia riuscita a dare una parvenza di coerenza e coesione al flusso di queste mie riflessioni ma, ecco, se non altro ci ho provato.

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Calma e cambiamento

“Ma la primavera non lo sapeva” Eh si, la primavera non lo sapeva ed è arrivata lasciandosi ammirare dalle nostre finestre. Era davvero tanto tempo che non passavo intere giornate a casa ed ora ogni giorno è apparentemente uguale e il tempo che passa quasi non lo vediamo o meglio non lo viviamo. Ho passato circa cento mila stati d’animo in questi giorni. Ho scoperto di essere cambiata e nn me ne ero mai accorta fino ad ora. Ora che controllo la paura e amo la quiete della mia camera e amo anche la primavera dal terrazzo. Io che ho sempre avuto paura delle malattie, che odiavo stare in casa, che i cambi di stagione dovevano essere il più possibile all’aperto. Mi guardo dentro e mi guardo intorno e credo che quando tutto questo finirà non lo scorderò mai, mai mai. Ho imparato così tanto facendo così poco.

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Sensazioni

Sensazioni contrastanti pervadono la mia mente, la mente delle persone accanto a me e la mente di persone sconosciute. Sensazioni diverse ci pervadono nonostante la medesima situazione che stiamo vivendo. Ognuno di noi prova e pensa in modo differente e non riesco a sentirmi compresa da chi mi sta attorno. Apparentemente sembra che io provi tristezza, angoscia e malinconia verso il presente e verso il prossimo futuro. In verità, non provo speranza e sentimenti positivi perché sento un grande senso di incertezza e di instabilità che non mi permette di essere serena. È forte la mancanza delle persone che mi stanno più a cuore e di una quotidianità non minacciata da un virus. Affronto questo periodo con determinazione, cogliendo gli aspetti positivi dell’essere in casa che mi consente di avere cura di me stessa, dei miei cari e dei miei rapporti con gli altri.

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Il lato positivo

I giorni avanzano piuttosto lenti e mi sto scervellando per ammazzare il tempo, non è l’ideale vivere in isolamento forzato ma ci sono dei lati positivi. Ora non devo preoccuparmi di piacere a qualcuno, non mi trucco da 30 giorni ormai così la mia pelle respira e prende un colorito vivace ; appena sveglia indosso i vestiti più larghi e confortevoli che ho nell’armadio così mi sento coccolata; non ho bisogno di spruzzare il deodorante nè di mettere il profumo, se mi faccio la doccia ora mi nausea quasi l’odore del bagnoschiuma.. Ho iniziato un libro e mi ci posso fiondare letteralmente senza alcuna distrazione tanto non ho alcun impegno sulla mia agenda; quando esco in giardino faccio caso alle piante; a pranzo e a cena mi riunisco, come fosse da sempre tradizione ,a tavola con la mia famiglia e parliamo del più e del meno; nel pomeriggio do da mangiare ai gatti che ci vengono a trovare e ora ho dato loro dei nomi cosi per non sbagliarmi; ho persino dimenticato cosa volevo compare online la prima settimana di isolamento per “tirarmi su “.. Infine mia nonna ha imparato a usare il suo smartphone così può mandarmi il buongiorno tramite whatsapp. Beh dai niente male.

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Il silenzio ritrovato

Per poter meditare, per poter ringraziare, per poter sentire gli altri, sentire il noi, i bimbi che ridono, gli anziani con il loro filo di voce, e sentire chi non ha mai parlato.

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Riflessioni su me stessa

In questo periodo di pandemia ho dato più spazio a me stessa riflettendo su quello che voglio io e quello che è giusto per me. Ciò mi ha portato a cambiare il mio punto di vista (sia in positivo che in negativo) su varie situazioni che stavo vivendo, a partire dalle persone che mi stanno intorno. Questa pandemia mi ha aiutato a vedere i rapporti e le situazioni che vivevo come stanno realmente. Sono stanca e spero che tutto questo finisca però ne esco con una mentalità migliore rispetto a quella che avevo prima che iniziasse tutto!

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Sirene

Sirene. Sirene che cantano, sirene che suonano, sirene che strillano. Sirene che gridano urla di disperazione e suoni di speranza. Sirene che si diffondono e raggiungono la tua casa, irrompono nel silenzio che ti circonda. Cosa mai vorrà dire la sirena che sta suonando proprio ora, a distanza di qualche miglio? Sirene di chi non vuol mollare, di chi vuole vivere, di chi ci sta mettendo il cuore per far in modo che queste sirene non suonino più.

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Il silenzio lascia il segno

Ho i ricordi di tante primavere. Sono per lo più ricordi belli. Le prime immagini che affiorano alla mente sono quelle delle violette lungo il sentiero che sale al monte. Questa primavera ha colori così vividi che tutto sembra in HD. Il blu del cielo senza le scie degli aerei ✈️, il bianco spumeggiante dei cigliegi in fiore e sullo sfondo ancora il contorno innevato delle cime. Il verde brillante della prima erbetta tenera del prato. Il rosa acceso dei peschi sbocciati. Qua e là macchie di cespugli gialli e finalmente le api 🐝 che ronzano instancabili. Mi sorge il dubbio che siano i miei occhi 👀 ad immortalare tutto con stupore e consapevolezza. Ma certo è così. Nella frenesia della vita quotidiana, i giorni passano in sequenza e la mente è troppo impegnata a governare i tanti, troppi doveri, lavori, scadenze ed adempimenti. Primavera 2020 il mondo si è fermato e la natura ne è grata e ci ricambia. Il virus non mi spaventa. Perché mentre è la paura di morire che ci affligge ci perdiamo il piacere di vivere 🌸 La mia mente si è risvegliata e coglie il sapore della vita nella serenità di un indimenticabile silenzio 🤫