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Esperienza personale da Volontario di Protezione Civile

Ciao, sono un volontario di Protezione Civile e in questa maledetta e invisibile “guerra” tra i molteplici servizi, stiamo consegnando anche la spesa a domicilio. Quando esco di casa, indosso le cuffiette e percorrendo la strada per arrivare in sede, mi fermo svariate volte, la prima a guardare la mia montagna e promettergli che un giorno tornerò a scalarla e guardare il mondo proprio da lì su, poi mi fermo a salutare “Marley” (labrador nero) che mi aspetta per ricevere le coccole e in questi 15 minuti di camminata penso: “che bello finalmente esco a prendere un po di aria fresca e farmi una passeggiata, ma appena girato l’angolo per entrare in sede inizia a salirmi la tensione, a mancarmi il respiro ed aver paura anche di abbassare una semplice maniglia. Poi quando incontri i tuoi amici e colleghi si ride e si scherza e si prende il servizio, si arriva al supermercato e anche li mentre ci consegnano i pacchi ci scappa una chiacchiera e una risata e si parte e…. …ed è proprio in questo momento che entro nella fase: “Maurizio fai attenzione a non toccarti la bocca, gli occhi e il naso con le mani, mi raccomando, anche se ti si appannano gli occhiali non toglierti mai la mascherina, ricordati di stare lontano dalle persone, fai attenzione a quando ti consegnano i soldi e mi raccomando usa il meno possibile le mani, se si rompe un guanto cambialo o meglio aggiungilo a quelli che già hai senza problemi. La “fortuna” vuole che con le persone piano piano ci stiamo entrando in confidenza e si ha quella sensazione di conoscerle da una vita, anche se conosciamo solamente il loro indirizzo e il loro nome che leggiamo sul foglio delle consegne. Qualcuno ci lascia una piccola donazione per un caffè, qualcuno non smette mai dirci “grazie” fino a quando non saliamo nuovamente sul furgone, ma tutti anche con un semplice sguardo ci dicono GRAZIE. Alla fine si rientra in sede, si disinfetta il mezzo si compilano le famose scartoffie, ci si saluta e si ripercorre la strada al contrario per tornare a casa e un pochetto mi tranquillizzo, ma ripenso se ho fatto veramente attenzione oppure qualche volta mi sono distratto e facendo un sospiro di sollievo continuo a ridere ripensando alle battute dei miei colleghi, del personale del supermercato e delle persone. Arrivo a casa, mi svesto mettendo fuori la divisa e vado a lavarmi le mani con disinfettante, spirito e chi più ne ha ne metta… e si spera di non essere stati contagiati. In conclusione da questa “guerra” invisibile che sto vivendo mi sta insegnando che quando non ce la facciamo con le nostre forze bisogna chiedere aiuto senza vergogna. Grazie a chi ha deciso di dedicare del tempo a leggere il mio pensiero, se posso darvi un consiglio valutate se mettere a disposizione un po di tempo della vostra vita ad aiutare chi ha bisogno anche di una semplice chiacchierata. Saluti, Maurizio 

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Più che un tango, una riflessione a passo di valzer

Dev’essere stato all’inizio, sin dal primo momento in cui Marlon, alias Paul, impone alla sua futura coinquilina ed amante di bandire nomi e ricordi dallo spazio e dal tempo condiviso in un appartamento piuttosto spoglio, eppure ancora impregnato delle vite di chi l’aveva occupato prima che per chissà quale ragione fosse abbandonato e dato in locazione. Chi ha visto il film avrà capito di che cosa parlo. Per chi non lo conoscesse, il film cui alludo è “Ultimo tango a Parigi”, di Bertolucci. Credo sia stata proprio la precisa volontà di rimozione, di cancellazione, di contraffazione di Paul ad innescare in me una catena di pensieri orbitanti attorno a quel grande spauracchio che è la fine dell’esistenza terrena, la morte. Non sapevo ancora come sarebbe andato a finire il film ma avevo captato sin da subito l’impulso autodistruttivo dei protagonisti della travagliata storia d’amore messa in scena da Bertolucci. In realtà, però, riflettendoci meglio, potrebbe essere la sotterranea angoscia della reclusione forzata che ci costringe ormai a casa da un mese, ad essersi insinuata nel mio inconscio nella veste di un pensiero tanto malinconico quanto terribile. Allora, la riflessione che vorrei condividere con voi è più che altro un incoraggiamento ad abbandonare le inibizioni, quei freni che spesso ci limitano nelle relazioni sociali. Lo dico in primis a me stessa, che prima del sopraggiungere dell’emergenza, mi sono lasciata frenare dalla paura del giudizio, di un eventuale rifiuto, rinunciando così ad esternare i miei sentimenti incipienti ad una persona che conoscevo da poco e dalla quale, evidentemente, ero intimorita. E sì, perché a Paul, che non riesce a darsi pace per non aver compreso chi fosse in realtà sua moglie, suicidatasi da poco, e quali celate preoccupazioni l’avessero turbata in vita, non restano che profonda sfiducia e orrore per il prossimo. E allora riversa tutta la sua frustrazione e tutto il suo dolore sulla giovane ragazza che gli contrappone invece una disarmante purezza di spirito, un sentimento incondizionato sembrerebbe, assecondandolo spesso nelle sue nefandezze. Tuttavia il rapporto tra i due evolve, Paul a poco a poco cambia atteggiamento ed ecco, però, che alla fine arriva il colpo di scena: Paul finalmente si scrolla di dosso le ultime briciole di resistenza che ancora opponeva all’insistenza della ragazza a rivelare la sua vera identità, a darsi interamente a lei e le dichiara il suo amore. È troppo tardi e deve fare i conti con la crudeltà di un mutato universo emotivo e sentimentale della ragazza, che si mostra ormai disinteressata a accoglierlo con le sue fragilità, col suo passato, col lutto che si trascina dietro. Credo che la colpa, se così vogliamo chiamarla, o forse sarebbe meglio parlare di occasione persa, bruciata dal tempismo imperfetto dell’incontro/scontro tra due temperamenti propensi sì all’amore, ma appunto con uno scarto temporale che risulterà fatale, sia di entrambi. Allora il mio augurio per tutti noi, per l’umanità intera, è di tornare, dopo l’agognata fine della quarantena, a relazionarci col prossimo armati di una maggiore consapevolezza di noi stessi e di chi ci sta di fronte. Spero tanto che saremo in grado di sapere ascoltare meglio noi stessi, di rispettare di più il nostro mondo interiore e di valorizzare sempre chi ci troviamo davanti, senza più alcun timore di metterci a nudo perché potremmo di nuovo, da un momento all’altro, trovarci a dover fare a meno dell’altr* . Non so se sia riuscita a dare una parvenza di coerenza e coesione al flusso di queste mie riflessioni ma, ecco, se non altro ci ho provato.